mercoledì 2 ottobre 2013

E la sgangherata Lega restò l’unico baluardo del Nord



Quindi resta solo la Lega. Che sarà anche sgangherata, confusa, ferita, appesantita da anni di promesse mancate e scandaletti. Ma che dopo lo psicodramma del PdL fa un figurone. E rimane l’unico baluardo a difesa del Nord. L’esecutivo Letta ha aumentato le tasse. Non intende riformare la giustizia. Incentiva l’immigrazione. Non aiuta gli enti locali virtuosi. Ha dimenticato il federalismo. Mantiene in posizioni apicali figure come il ministro Kyenge e la presidentessa della Camera, illustrissima signora Laura Boldrini. È un governo sbilanciato a sinistra e che permette ad alcuni dinosauri come Casini di essere ancora a galla. C’è da credere non resterà insensibile ai lamenti del sindaco di Roma, che chiede soldi per ripianare i debiti ma vuole fare le Olimpiadi. Ebbene, questo governo spaventoso che non a caso piace a Napolitano, è ancora in piedi perché il PdL s’è spaccato e Berlusconi ha deciso il clamoroso dietrofront. Nonostante il minaccioso intervento di Sandro Bondi, formulato poco prima e che così ha rimediato una figuraccia.
Il centrodestra non rompe e resta nella maggioranza. Pd allibito e spiazzato. Azzurri tramortiti e con la credibilità a picco, anche perché il democratico Zanda li ha insolentiti con l’arroganza tipica di certa sinistra. Almeno la Lega è stata coerente. No a Letta, no alle larghe intese. Era partita male, perché quando il buon Enrico si era insediato aveva deciso un atteggiamento morbido, quasi da finta opposizione. Astensione sulla fiducia. Grandi aperture. Il grazioso omaggio della pesante poltrona del Copasir, finita al padano Giacomo Stucchi. Il tutto dopo aver spedito Giancarlo Giorgetti tra i saggi del Colle e aver votato con entusiasmo il Napolitano bis. Però, nonostante queste mosse, nelle ultime ore ha tenuto il punto. E da settimane Maroni sta sparando a zero sul governo, anche perché sperava che Berlusconi rompesse per davvero. Così da ripristinare quell’asse del Nord che resta intatto nel Settentrione ma che a Roma ha preso strade diverse. Col sostegno al governo Letta, il Pdl fa un secondo scivolone in poco tempo. L’altro è quello sul referendum per l’indipendenza del Veneto: consultazione che il centrodestra del Nordest ha fatto rinviare nonostante alcune spaccature (Galan, per esempio, s’era detto favorevole).
L’appoggio al Letta bis offre al Carroccio il gancio per rilanciare la questione settentrionale con forza, con la coerenza di chi attacca Palazzo Chigi parlando la stessa lingua a Roma come a Milano. Il tempo stringe, perché tra un anno e mezzo andranno al voto Piemonte e Veneto e l’esito delle regionali è imprevedibile. Maroni deve accelerare per concretizzare quella Macroregione e quell’idea del 75% delle tasse sul territorio che gli hanno fatto vincere le elezioni in Lombardia. Il primo passo, a questo punto, è il congresso di dicembre con la scelta del nuovo segretario federale (pare che voglia candidarsi anche il bolognese Manes Bernardini). Poi servono i risultati. Concreti. La Lega ha anche la possibilità di raccogliere i delusi dal Cavaliere che non vogliono astenersi o scappare verso altri lidi. L’alternativa è regalare il Nord alla sinistra o ai grillini. Gli stessi grillini che tifano per la decrescita economica (cari imprenditori padani, sapete cosa significa?) e che concludono il discorso in Senato urlando a Pd e PdL «voi siete gnente». Gnente. 
di Albertino (L'Intraprendente) 




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