domenica 27 ottobre 2013

«Il Nord ha capito: per non morire di tasse rivendica autonomia»


Il professor Stefano Bruno Galli commenta il sondaggio secondo cui tre cittadini settentrionali su quattro si sentono discriminati: «Risentimento proporzionale al menefreghismo del governo».
Al Nord tre cittadini su quattro si sentono abbandonati dallo Stato. A indicarlo è un sondaggio Swg, secondo cui il 36% è «assolutamente d’accordo» che «il Nord sia discriminato rispetto al Sud» e il 39% «abbastanza d’accordo». Complessivamente fa appunto il 75%, dato che si confronta con il 63% dell’ultima rilevazione di questo tipo effettuata dall’istituto demoscopico nello scorso aprile. «Aumenta la consapevolezza che il Nord deve perseguire autonomia politica e amministrativa», commenta Stefano  Bruno Galli, Professore di Storia delle Dottrine Politiche  all’Università Statale di Milano e capogruppo della lista Maroni Presidente al Consiglio regionale lombardo. 
Professor Galli, un numero crescente di cittadini del Nord si sente discriminato.
«Il risultato non mi stupisce. Ho partecipato recentemente a un incontro sull’argomento con Massimo Cacciari e Sergio Chiamparino e il dibattito è stato preceduto da un sondaggio dello stesso tenore. Ora si può dire che il diffuso risentimento del Nord si è consolidato. Il fatto poi che nel giro di un anno ci sia stato un aumento di dieci punti ci indica che il consolidamento è forte».
Cosa è accaduto?
«Il governo continua a ignorare la questione settentrionale. E il risentimento è proporzionale al tasso di menefreghismo, per così dire,  del governo.  Ma se dal Nord arriva poco più del 50% del Pil nazionale e 60 miliardi di trasferimenti allo Stato centrale che vengono poi redistribuiti al resto del Paese, allora significa che c’è un problema politica vero. In altre parole se il Nord sospendesse per un mese i trasferimenti allo Stato, questo andrebbe in default».
La crisi ha aumentato il senso di abbandono?
«Lo ha evidenziato. Il sistema produttivo del Nord è all’avanguardia dell’intera Europa, ma sta morendo di fiscalità. E questo ha un riverbero sulle nuove imprese, su quelle che già ci sono, sull’occupazione giovanile. Gli imprenditori per pagare gli stipendi devono erodere il loro patrimonio. Lo Stato invece spende il 54% del Pil per mantenere se stesso, in gran parte spesa improduttiva».
Come si affronta la questione settentrionale?
«Oggi, per prima cosa, sbloccando il patto di stabilità, poiché penalizza i Comuni virtuosi che sono concentrati al Nord. Diciamo che questo è il problema a rientro più immediato. Abbiamo anche dato mandato al nostro governatore, Roberto Maroni, di provare a regionalizzare il patto di stabilità. Un altro sondaggio, di recente, indicava due priorità. La prima è regionalizzare il debito pubblico, poiché chi meno vi ha contribuito ha meno obbligazioni nei confronti dello Stato. L’altro è parametrare gli stipendi al costo della vita».
Quali potrebbero essere le conseguenze della montante insofferenza da parte dei cittadini del Nord?
«Alimentare una consapevolezza che questo rancore si possa trasformare politicamente. Il Nord può e deve ambire a una maggiore autonomia politica e amministrativa, che è il preludio a soluzioni più drastiche. In Regione siamo molto attenti a questo stato delle cose. Ecco il perché della regionalizzazione del patto di stabilità o di provvedimenti come lo stanziamento di 1 miliardo per sostenere le piccole e medie imprese».
Sempre oggi un altro sondaggio Swg registra l’ulteriore crescita della Lega, che raccoglierebbe il 5,6% dei consensi dal 5,5% della settimana scorsa e contro il 4,1% rimediato alle ultime elezioni politiche.
«Si tratta di una ripartenza significativa, dovuta in parte al problema dell’immigrazione perché la gente chiede sicurezza, ma soprattutto alla consapevolezza che il  Nord deve perseguire autonomia politica e amministrativa.  E lo deve fare non arroccandosi nel suo fortino padano-alpino, ma guardando all’Europa centrale, per riscoprire la sua storica vocazione e trovare gli strumenti per essere competitivo nel momento della crisi».
Alessandro Bonini


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